
Sarà il bersaglio degli attacchi dell’inferno

L’arciduca austriaco Carlo nacque il 17 agosto 1887 nel castello di Persenbeud nella Bassa Austria. Suo padre fu il nipote Francesco Giuseppe d’Austria I, l’arciduca Ottone, sua madre Maria Jozefa, pricipessa reale sassone. La madre lo educò in una fede cattolica profonda. Già da bambino si sviluppò in lui la sensibilità per le sofferenze altrui.
Quando Carlo ebbe otto anni, la religiosa stimmatizzata del convento di Sopron di Sant’Ursula, Maria Vinzentia Faunland profetizzò che la sua vita sarebbe stata piena di sofferenze. Chiese che „avvolgano il giovane principe nella preghiera perché sarà imperatore- re che soffrirà tanto, sarà il bersaglio degli attacchi dell’inferno”. Dopo la morte di Carlo da questa comunità orante si formò la Lega di Preghiera del Beato Imperatore Carlo per la Pace tra i popoli.
Carlo contrasse matrimonio d’amore con la principessa Zita di Borbone-Parma. Chiese a Zita di sposarlo a Mariazell, si affidarono alla Madonna, fecero incidere nelle fedi nuziali: „Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio”. Alla promessa del matrimonio Carlo esprimò così la loro chiamata comune: „Da ora dobbiamo condurci a vicenda nei cieli”.
Si sposarono il 21 ottobre 1911. Ebbero otto figli. Sul letto di morte il re disse alla sua consorte: „Ti amo infinitamente”.

I genitori parteciparono in modo attivo all’educazione dei figli – nonostante le tradizioni familiari degli Asburgi –, accanto all’educazione di alta qualità gli assicurarono un clima familiare felice, amorevole. L’ultimo desiderio del re fu che dopo la sua morte i figli fossero educati da cinque religiosi benedettini ungheresi.
Carlo diventò erede al trono della Monarchia Austro-Ungarica il 28 giugno 1914, dopo la morte di Francesco Ferdinando d’Austria-Este, poi dopo la morte di Francesco Giuseppe I, il 21 novembre 1916 occupò il trono imperiale.
Fu incoronato come re apostolico d’Ungheria il 30 dicembre 1916 nella Chiesa di Mattia. Amò il popolo ungherese con cuore sincero, lo stimò, parlò così bene l’ungherese come il tedesco. Una volta disse: „Se gli ungheresi parlano della loro patria, nei loro occhi brilla tanta fedeltà”.

Carlo ebbe 29 anni quando diventò imperatore e re, nel terzo anno della guerra mondiale. Da giovane, senza eseperienze governative partí per il suo calvario senza successo in senso terreno, ma pieno di buona volontà. Considerò la sua chiamata d’imperatore come strada piena di sacrifici della seguela di Cristo: in ogni sua opera fu guidato dall’amore per i popoli a lui affidati, dedicò a loro la sua vita. Ammise che il più santo dovere di un imperatore è l’instaurazione della pace. Sin dal primo momento volle guidare i suoi popoli fuori dalla guerra senza senso. Fu l’unico tra i leader politici europei che appoggiò gli sforzi fatti per la riconciliazione dal papa Benedetto XV. Il suo appoggio più grande nella promozione della pace fu la sua consorte, Zita.
Già nell’appello emesso al momento della salita sul trono nominò l’instaurazione della pace come suo impegno principale: „Voglio fare tutto per far fine al termine più breve possibile al terrore e alle perdite della guerra, e per riavere le benedizione tanto mancate della pace per i miei popoli…”
Il re Carlo fu l’unica persona onesta che durante la guerra stava al dominio, ma non lo ascoltarono. […]Volle la pace a cuore sincero, e proprio per questo tutto il mondo lo odiò.” (Anatole France)
„Qualsiasi cosa è meglio di un’ingiustizia. Questa è la coscienza cristiana sul trono. Il suo detestare la guerra e il suo impegnarsi appassionatamente per l’instaurazione della pace non si alimentò solo di senso politico ma anche di quell’ardente amore per il prossimo di cui sorgente fu l’amore di Dio.” (Albert Apponyi)
„Si impegnò con tutta la forza per la costruzione della pace anche al costo di attacchi e incomprensioni. Per questo è un modello da seguire anche per noi, nei nostri giorni, possiamo chiedere la sua intercessione per la pace dell’umanità”. (Papa Benedetto XVI)

Lo scopo di Carlo fu costruire un impero più democratico, con più giustizia sociale, in cui il vero appoggio del trono viene dall’amore e dalla soddisfazione del popolo. Nonostante la situazione straordinariamente grave inizò ad attuare una legislazione sociale di ampio respiro, esemplare. Alla sera dell’incoronazione fece arrivare i diciannove piatti del banchetto d’incoronazione agli ospedali da campo di Budapest, fece spendere il dono di 50-50 mila monate d’oro regalate dal parlamento ungherese a lui e alla sua consorte per fini sociali, per aiutare vedove e orfani di guerra. È segno della sua sensibilità sociale che fu il primo al mondo a creare il ministero dei servizi sociali, prima in Austria, poi in Ungheria nel 1917. Esercitò il suo potere d’imperatore in base alla dottrina sociale della Chiesa.
Tutta la sua vita fu caratterizzata dal senso di dovere e di responsabilità. L’autodisciplina fu molto importante per lui, come diceva: „questo è il dominio più difficile. Sin dall’infanzia considerò con grande rispetto il Santissimo Sacramento. Ovunque visse, nella sua abitazione ci fu sempre una cappella privata dove custodire l’Eucaristia. Di notte pregò spesso in solitudine, in silenzio alla luce della fiamma eterna.
„L’unica cosa da poter contestare in lui come sovrano fu la sua bontà umana esagerata che non fu una bontà tollerante a tutto ma una bontà esigente, confidenziale”. (Memorie di un collaboratore del re Carlo)
Alla fine della guerra il comportamento di Carlo IV rese possibile in Austria la transizione pacifica, senza spargimento di sangue e senza guerra civile verso un ordine sociale nuovo. Nonostante questo fu esiliato dal suo paese.

Tentò di ritornare in Ungheria due volte come re apostolico che aveva fatto giuramento al servizio a cui era chiamato da Dio. Anche papa Benedetto XV lo incoraggiò a ritornare in Ungheria chiedendogli di stare alla difesa della Chiesa perché dall’oriente veniva una minaccia all’Europa che facilmente poteva costringere la Chiesa a vivere di nuovo nelle catacombe e poteva trascinare i popoli nell’autocrazia.
„Se una volto torno in Ungheria, non lo faccio mica per desiderio di dominare. Finora ho avuto la corona di spine, e quello che l’Ungheria può riconsegnare a me, è sempre una corona di spine. Il giuramento d’incoronazione per lui aveva sempre questo significato: che re e nazione devono essere intrecciati sia nella fioritura sia nella perdizione.”
Al secondo ritorno, alla fine dell’ottobre del 1921 ripostò definitivamente la spada per prevenire lo spargimento di sangue. Iniseme a Zita furono portati a Tihany, gli ultimi loro giorni passati in Ungheria passarono nell’abbazia benedettina.
L’ultima volta che sono entrato nella sua stanza (a Tihany) ero preoccupato. Pensavo che fosse distrutto sotto i terribili colpi del destino crudele, pensavo di trovare un re disagiato, difficile da consolare con parole, tanto meno con argomentazioni validi. […] La tempesta non ha lasciato intatto il re. I suoi capelli si sono imbianchiti. Sul volto portava le pieghe profonde dei problemi. Il suo aspetto è solennemente serio, come di quelli che soffrono in modo dignitoso.È stato pienamente consapevole della sua situazione. Non aspetta spiegazioni o consolazione. […] Ma nonostante tutto ha una fiducia e una fede salde: »Qualunque cosa devo soffrire, il nostro Signore Cristo ha sofferto di più..« Per un’anima così la consolazione è superflua. Con la sua forza misteriosa ti costringe di ammirarlo. Alla fine della sua vita piena di sacrifici l’ultima sua parola è stata pienamente degna: »Offro la mia vita per sacrificio per il mio popolo.«” (Memorie del cardinale, arcivescovo János Csernoch)
„Sono disperato qer quello che è successo. Ungheria sarà duramente punita per aver sparato al re unto, apostolico che non è solo re incoronato ma è anche un vero santo.” (László Batthyány-Strattmann, dopo il secondo tentativo di ritornare)
La coppia reale lasciò definitivamente Ungheria presso Baja. La nave danubiana dell’Antant da lì che li portò verso il luogo dell’esilio, l’isola di Madeira. In quell’isola dell’Oceano Atlantico, in una casa umida viveva la famiglia regale. Ma Carlo neache lì perse la sua fede, la sua serenità. La sua vita fu divenuta una preghiera permanente, continua.

In quelle circostanze avverse nel marzo del 1922 il re si ammalò gravemente. Accettò i dolori e la sofferenza e li offrì come spiazione per i suoi popoli. Sul letto di morte perdonò tutti quelli che l’avevano tradito. L’ultimo giorno ha espresso il suo ideale di vita con le seguenti parole: „Lo scopo dei miei sforzi è sempre e in tutto è stato riconoscere la volontà di Dio, in modo più chiaro possibile e seguirla, nel modo più perfetto umanamente possibile.”
Morì il 1 aprile 1922. Ai suoi funerali il vecovo Antonio Manuel Pereira Ribeiro disse: „Fino ad oggi Madeira doveva aspettare il suo santo e adesso l’ha trovato. Riconsegnamo alla terra madre un martire.” La tomba di Caro diventò subito luogo di pellegrinaggio, gli abitanti di Madeira l’avevano oronato da santo eremita, padre di famiglia, sovrano penitente. Dal giorno di morte di Carlo Zita portò sempre il vestito di lutto. Educò i loro otto figli alla fede e all’umanità. È morta all’età di 97 anni, il 14 marzo 1989. Poteva tornare a casa solo dopo la morte, il suo corpo riposa nel luogo di sepoltura degli Asburgi, nella cripta della Chiesa dei Cappuccini a Vienna.
Il 1 aprile 1972, al cinquantesimo anniversario del compleanno celeste di Carlo IV alla presenza del comitato ecclesiastico competente e dei rappresentanti della famiglia a Madeira hanno aperto la tomba del re: il suo corpo è stato ritrovato intatto.
Il 12 aprile 2003 alla presenza di Giovanni Paolo II hanno annunciato il decreto che riconosceva virtù eroiche, la santità di vita del re Carlo. nello stesso anno il 20 dicembre un decreto papale ha dichiarato autentica la guarigione miracolosa avvenuta nel 1960 in Brasile, per l’intercessione del re Carlo.
Santo Giovanni Paolo II ha beatificato il 3 ottobre 2004 l’ultimo re apostolico ungherese. La sua memoria liturgica è stata fissata al 21 ottobre. Così la Chiesa non ricorda la festa del re beato il giorno della sua morte ma quella del suo matrimonio, dirigendo l’attenzione verso la sua vita matrimoniale esemplare e al fatto che il matrimonio è strada privilegiata per la santità.
Fonte: Magyar Kurír